Ritrovare un “benessere digitale” per ripensare l’employee experience e il futuro delle nostre organizzazioni e delle persone

Roberta Aspesi

Roberta Aspesi

CMO Lead Microsoft Italia

Tempo di lettura, 4 min.

Di Stefano Besana – Digital & Future of Work Leader, EY

L’esperienza trascorsa negli ultimi mesi, che ha forzato una digitalizzazione delle relazioni e delle pratiche organizzative, impone una seria riflessione sui modelli di lavoro che accompagnano le nostre attività quotidiane.

Sono molti i dati che confermano un avvenuto cambiamento, richiedendo un ripensamento profondo dei modelli gestione della propria operatività e una nuova consapevolezza per indirizzarne esiti e contorni.

Secondo alcune ricerche di EY e SWG[1], infatti, il lavoro ibrido è qui per rimanere: il 70% dei lavoratori intervistati ambisce a modelli flessibili come quelli che abbiamo sperimentato nell’anno della pandemia, mentre un 65% anela un ritorno a una socialità di ufficio che abbiamo, inevitabilmente, perduto. È quello che gli esperti chiamano il paradosso dello smart working.
Da un lato la “video meeting fatigue”, uno stress mentale elevato dovuto all’essere palleggiati da una call alla successiva; dall’altra parte, una consapevolezza di come i processi di lavoro – come tanti altri parte della nostra vita – richiedano reti sociali e contesti collocati nello spazio fisico e nel tempo per poter essere efficaci.

Ulteriori dati[2] sembrano poi confermare come la maggior parte dei dipendenti (65%) sia convinta che le aziende di oggi siano scarsamente preparate per poter affrontare una trasformazione dei modelli di lavoro che ripensino un’esperienza verso scenari ibridi.

Come usciamo, dunque, dall’impasse?

Dobbiamo seguire – o quantomeno provare a seguire – alcune indicazioni che ci permettano di gestire al meglio lo stress che deriva da modelli di lavoro nuovi e ancora in via di definizione.

Alcune riflessioni possono aiutarci nel percorso:

  • Evitiamo di produrre elenchi e di prefigurarci problemi ancora prima che questi siano presenti. Il potere immaginativo della nostra mente lo conosciamo bene e non funziona solo in modo positivo.
  • Ritagliamoci del tempo e proteggiamo alcuni spazi. Famoso è un adagio zen che recita: “quando sei troppo occupato: fermati, e annusa i fiori!”. Non è filosofia, lo dice anche la scienza: siamo in grado di lavorare meglio se pianifichiamo delle pause[3].
  • Pianifichiamo nel minimo dettaglio, ma non arrabbiamoci o frustiamoci se non siamo in grado di rispettare la pianificazione, nel lavoro come nella musica, si creano spesso prodotti interessanti quando si è in una jam session, senza schemi predefiniti, e si gestisce il caos e l’imprevisto.

Infine, ma non meno importante, ragioniamo sempre secondo uno scopo. Lo ricorda anche il celebre psicologo ungherese teorico del flow, Mihaly Csikszentmihalyi: “Non si può condurre una vita che sia veramente eccellente senza sentire che si appartiene a qualcosa di più grande e di permanente di se stessi.” La chiave per progettare employee experience del futuro è quella di aiutare le persone a sviluppare un’ottica riflessiva (per usare un termine caro a Donald Schön) che le porti a ragionare sullo scopo e sulle modalità di lavoro reinterpretandole in modo attivo, agendo grazie a un capitale psicologico positivo[4].

In questo nuovo modello di lavoro la tecnologia ci può aiutare, gli analytics – per citare uno dei tanti esempi che si potrebbe fare – ci guidano verso una maggiore consapevolezza e le piattaforme collaborative legittimano nuovi spazi e nuovi modi di lavorare, permettendoci di fare esperienza in modo diverso del nostro modo di lavorare.

Il recente lancio di Viva, la piattaforma di Microsoft che integra quattro dimensioni fondamentali dell’esperienza del dipendente (gestione della conoscenza, benessere, formazione e condivisione documentale) promette di fare proprio questo, dedicando un importante focus proprio sui modelli di lavoro delle persone.

Il digitale e le suite di social collaboration divengono, in questo caso, il contesto abilitante per attuare le proprie intenzioni, diventano affordance offerte dall’ambiente, per usare un termine di Gibson caro alla psicologia, consentono – cioè – di manifestare i propri pensieri in modo più rapido ed efficace e di tradurre in azioni concrete delle idee. Strumenti di questo tipo facilitano, dunque, l’instaurarsi di un nuovo modello di lavoro, maggiormente partecipato, inclusivo e in grado di generare maggiore valore per l’intero ecosistema organizzativo, evitando sovraccarichi cognitivi e aiutandoci a re-immaginare il ruolo della tecnologia nella nostra vita e i modelli di lavoro sottesi. È questo quello che dovrebbe guidare – oggi – il nostro modo di lavorare per essere certi che il benessere della persona sia visto come il fine da raggiungere, consapevoli anche dei ritorni positivi che l’impresa può ottenere.

Ripensare una employee experience rimettendo al centro le persone e il loro benessere è possibile se consideriamo tutti questi ingredienti e immaginiamo un modo di lavorare differente.

La nostra felicità e il nostro benessere al lavoro passano, oggi, anche – e soprattutto – da qui. Per chiudere con una citazione di Donald Norman: “la tecnologia ci pone di fronte a problemi fondamentali che non possono essere superati basandoci su quanto abbiamo fatto nel passato. Abbiamo bisogno di un approccio più tranquillo, più affidabile, più a misura d’uomo”.

Note

[1] https://www.ey.com/it_it/workforce/disegnare-l-employee-experience–ey-e-microsoft-per-il-futuro-ib

[2] https://assets.ey.com/content/dam/ey-sites/ey-com/pt_br/webcast/ey-future-of-work-20-10.pdf

[3] https://www.fastcompany.com/90626866/microsoft-outlook-teams-shorten-default-meetings

[4] https://elenaghersetti.com/il-capitale-psicologico-investimento-strategico-per-le-aziende/

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